Il potere evocativo delle emozioni - Dr. Cipriani Luana -

Ognuno di noi apprende le informazioni in modo diverso: qualcuno ha la famosa “memoria fotografica”; qualcuno incamera meglio i numeri, qualche altro i testi… Le modalità di memorizzare informazioni possono anche combinarsi… Dipende quanto intelligentemente utilizziamo la nostra materia grigia.

Quando siamo molto piccoli la nostra mente funziona come una spugna, l’acqua sono i miliardi di informazioni che il cucciolo d’uomo incamera. La crescita, attraverso la scuola, ci fa applicare la memoria alle materie scolastiche mentre la plasticità del nostro cervello cambia e da una spugna passa ad una sorta di “passino”, per cui le informazioni più grossolane rimangono più facilmente disponibili, quelle più raffinate hanno bisogno di passaggi ulteriori.

Questi processi dipendono da tanti fattori: la curiosità, l’interesse, la predisposizione personale, l’esposizione a certi stimoli attraenti oppure al contrario repellenti e così via. Una variabile rimane immutata indipendentemente dall'età, dalle capacità personali e persino dall'ambiente: la relazione.

Gli insegnamenti che provengono dall'ambiente familiare spesso li portiamo dentro tutta la vita perché sono profondamente radicati in noi e questo è vero sia quando sono positivi che quando sono distruttivi. Se guardiamo indietro quasi tutti abbiamo avuto nella nostra carriera scolastica almeno una maestra preferita o un’insegnante che ci appassionava ad una certa materia che diventava importante anche per noi; qualcuno ha trovato qualcosa di simile nello sport con un allenatore prediletto; qualche altro ha preferito la musica, entrando a far parte di un coro etc.  

La passione è ciò che ci muove da dentro ci fa innamorare e compiere gesti che non avremmo mai neanche pensato, la passione per qualcosa può spalancare le porte di nuovi mondi e questa lezione l’ha imparata la pubblicità. Pubblicizzare un prodotto non vuol dire solo metterne in evidenza gli aspetti positivi, ma cosa molto più difficile, fare in modo che le persone si appassionino al prodotto tanto da cercarlo e comprarlo. Questo spinge i pubblicitari a cercare sempre nuove formule che possano smuovere un’emozione o più emozioni nei potenziali acquirenti, che spendono il loro denaro, che potrebbe essere impiegato diversamente e finiscono per comprare prodotto.

Apprendere qualcosa di nuovo, così come fare shopping, sono comportamenti che possono essere influenzati dalle emozioni che sperimentiamo dentro di noi, è importante esserne consapevoli in modo da poter vivere sereni con le conseguenze delle nostre scelte.



Scrollo… Non scrollo… Clicco… Non clicco - Dr Cipriani Luana -

 

Quando arriva il momento di disintossicarsi dalla tecnologia? Prima di tutto sto dando per scontato che siamo tutti, più o meno, intossicati… perché? Facciamo un momento mente locale: tutti possediamo un tipo di cellulare (quando non sono due perché quello di riserva è per il lavoro…), per lavorare dobbiamo registrare dati e/o usare internet e quindi PC, Tablet, etc. Quasi tutta la popolazione ormai ha un qualche tipo di profilo su uno o più social…per non parlare dei nativi digitali che già dalle elementari si definiscono “socialmente morti” se i genitori non gli concedono un cellulare personale. Direi che non è un’esagerazione poter affermare, con un buon livello di confidenza, che siamo immersi gran parte del giorno in ambienti digitali e questo è diventato talmente scontato, che non ci rendiamo molto conto del monte ore giornaliere che trascorriamo collegati ad un qualche tipo di apparecchio. Questo già di per sé contribuisce in maniera massiccia a creare tutta una serie di circuiti mentali e poi di abitudini automatiche, cioè pensieri e gesti che facciamo con scarso o nessun livello di consapevolezza. Quando cediamo troppo spazio della nostra vita agli automatismi il passaggio alla dipendenza può essere molto insidioso perché estremamente graduale e soprattutto all'inizio asintomatico. Mi ritrovo a ripetere spesso che le abitudini sono dure a morire ebbene la dipendenza, anche quella da internet, ci fa morire silenziosamente un po’ per volta. La vita in rete diventa talmente importante per la persona, che vive nel mondo reale il minimo indispensabile per non farsi scoprire da familiari e amici. C’è chi inizia giocando, chi cerca l’anima gemella (per gli inguaribili romantici ancora ci ricordiamo “C’è posta per te” oppure “Insonnia d’amore” con Meg Ryan e Tom Hanks…), ma in realtà può succedere di rimanere intrappolati letteralmente nella rete. Senza troppe avvisaglie non ci si accorge di rimanere costantemente connessi ad una fantasiosa illusione da cui non si esce mai, né giorno né notte, ritrovandosi con l’alterazione del sonno e con la ridotta capacità di affrontare la giornata al di fuori di quella lusinghiera velleità. L’umore e il senso di essere degni, o amabili, o capaci si collega sempre di più alla vita virtuale e non si ancora dentro di noi insieme alle relazioni esterne. Le relazioni virtuali prendono il sopravvento, la persona vive l’isolamento nella vita reale, ma crede di poter esistere solo attraverso lo schermo del cellulare o del PC. Le emozioni vissute scaturiscono dalle connessioni ottenute in rete, dai messaggini, dai like, dai cuoricini ricevuti per una foto piuttosto che per un post… etc. Questi eventi che in realtà sono non-eventi reali, determinano lo scandire delle ore e dei giorni, risucchiando il tempo-vita della persona. Non è infrequente che le relazioni iniziate in rete inizino e finiscano senza che le persone coinvolte si siano mai incontrate nel mondo reale, proprio perché tutto si consuma all'interno del mondo del web e non nella realtà. Come tutte le dipendenze il solo modo per disintossicarsi è imparare a rispettare sé stessi costruendo delle protezioni interne da ciò che ci danneggia. Si dovrebbe utilizzare il tempo libero senza essere connessi, ma ritrovandosi con amici, conoscenti, familiari, organizzando qualsiasi tipo di attività che non richieda l’uso della tecnologia. È fattibile? Se la risposta è positiva, è sufficiente intensificare gli impegni fuori casa a cellulare spento, se la risposta è negativa probabilmente la situazione ci è sfuggita di mano e bisogna fare un’attenta valutazione chiedendo un aiuto specialistico.   


Concessione… oppure… Ossessione… - Dr Cipriani Luana -

Quando abbiamo bisogno di concederci qualcosa (o anche qualcuno…) che sappiamo non ci fa bene, pensiamo che, tutto sommato, tanto male non può fare? Quando sottostimiamo il male che certe concessioni agiscono su di noi o sulle decisioni che influenzano il corso della nostra esistenza. Perché sottovalutiamo tanto un danno che alla fine dei giochi ci infliggiamo? Se ci pensiamo non è coerente con la ragionevolezza che di solito ci attribuiamo! Eppure capita…molto spesso può capitare…quanto spesso capita che non valutiamo con un sano giudizio costi e benefici? L’alta frequenza delle concessioni pericolose può diventare abitudine…tutti sappiamo quanto è difficile rinunciare alle nostre abitudini. Costruiamo milioni di ragioni per tenerci strette le abitudini…ci sarà un perché no? La primissima risposta a questa domanda, a nessuno piace ammetterlo, è che l’essere umano è un animale abitudinario e quando certi circuiti si instaurano dentro è poco o per nulla incline a modificarli. A questo si può aggiungere un certo numero di motivazioni di vario tipo che si collegano alle nostre convinzioni interne e non meno importanti diventano tutte quelle tradizioni mescolate a messaggi, combinate con informazioni che provengono dalla nostra storia personale, dalla famiglia, dal contesto a cui apparteniamo. Sono tanti elementi che entrano in gioco quando ci si ossessiona, girando e rigirando i pensieri che vorticosamente finiscono sempre per tornare sull'oggetto dell’ossessione. I primi tempi, quando l’ossessione non è ancora ben strutturata, la persona adotta delle personalissime strategie per non tornare sull'oggetto dell’ossessione e soprattutto per non farsi scoprire dai propri cari, evitando accuratamente di farsi aiutare perché ritiene di non averne bisogno. In questa fase la persona è ad un bivio: può accettare che gli sta accadendo qualcosa di insolito e cominciare almeno ad indagare cosa potrebbe essere e confrontarsi con qualcuno oppure tacere e fare finta di niente. Se si lascia all'ossessione tutto il potere del mondo, la persona in modo più evidente appare ritirata, strana, più ansiosa da un certo momento in poi, perché è iniziata la schiavitù della “vita da ossessionato/a”. Può essere il conto delle calorie dei cibi o le pesate della bilancia; al contrario una fame talmente famelica che scava dentro e non vuole andare via, non importa quanti pasti sono stati già consumati; può essere il pensiero fisso dell’amato/a perduta; il bisogno impellente di lavarsi le mani così tanto e così a lungo che rimangono screpolate e ferite; rimanere connessi sui social contando like e cuoricini fino a perdere il sonno, il contatto con la vita reale e ritrovarsi a dover rinunciare all'anno scolastico o al lavoro etc. Le ossessioni possono travestirsi in milioni di modi, affascinanti e magici e diversi per ognuno di noi, come le sirene per il prode Ulisse, ma chi è in grado di navigare nel mare della vita sa anche che tutto ha un prezzo e quindi per salvarsi la vita è indispensabile rinunciare ad una parte di indulgenza. Come farlo, quando farlo con l’aiuto di chi farlo, dipende da quanto la persona riesce ad ammettere con sé stessa che farsi letteralmente torturare dai propri pensieri non è solo stressante, ma un vero e proprio incubo, perché la nostra testa a quel punto è così conquistata da questi pensieri che incessantemente scorribandano dentro la centralina senza controllo, che non si riesce più ad avere una vita degna, poiché la maggior parte del tempo l’ossessionato vive all'ombra di questi pensieri, pietrificato, mentre il tempo scivola via. Tantissimi dettagli possono riportare all'ossessione: suoni, sapori, odori, scene di qualunque tipo, altri pensieri che producono pensieri e che tornano sull'ossessione etc. Le ossessioni si nutrono di numerosissimi elementi e non cessano mai di indebolire la personalità dell’individuo che stanno smantellando, con la stessa ferocia con cui attaccano le cellule cancerogene, senza pietà. Sottoporsi ad un processo diagnostico per sapere cosa letteralmente frulla nella nostra testa è un atto di rispetto verso sé stessi e anche verso chi ci ama, perché a nessuno viene risparmiato profondo dolore e incalcolabile sofferenza quando viene compromessa l’esistenza delle persone a cui teniamo.


Aspettative e realtà - Dr Cipriani Luana -

Sul cambio del look al femminile sono stati spesi fiumi di parole: riviste femminili, ricerche di mercato, stilisti, analisti, fashion blogger e chi più ne ha più ne aggiunga va bene così. Cosa c’è di tanto importante dietro un taglio di capelli, un cambio di armadio, una tinta diversa dal solito o un’acconciatura particolare? I più cinici spacciandosi per realisti risponderebbero subito a gran voce le leggi di mercato: è vero che le donne curano la propria immagine da quando sono adolescenti, spoiler per i genitori lettori, oggi cominciano prima di quanto ci aspettiamo noi adulti e questo comporta, ovviamente, uso prolungato del bagno, di prodotti vari, tempo, dedizione…per qualcuna persino rassegnazione (in primavera tutte a contendersi l’appuntamento strategico dall'estetista perfettamente incastrato tra gli impegni di scuola/università/ lavoro, le commissioni, il partner…che non deve sapere…non vado oltre perché poi questo diventa un capitolo che merita più spazio). Cosa spinge le donne di tutto il mondo a voler apparire in un certo modo piuttosto che in un altro? In qualche paese orientale, africano, latino ci aspettiamo che ci venga data una risposta di tipo religioso e culturale e, a casa nostra, cosa pensiamo gira intorno alla cosmesi, al parrucchiere, all'estetista, al mondo della moda al di là dei fatturati? Una parte della risposta a questo interrogativo risiede nel bisogno di cambiamento esterno che si presenta in alcuni momenti di vita e, di solito, si affaccia più prepotente quando può innescare una fase di cambiamento più generale, che potrebbe investire decisioni di maggior spessore. Si cambia fuori per avere dallo specchio un rimando diverso da quello a cui siamo abituate e questo potrebbe essere l’incipit, una sorta di start che coinvolge le parti esteriori di noi, ma punta all'interno. Si può arrivare persino a mettere in discussione una relazione importante per il crescente bisogno di cambiamento, questa motivazione interna, può avere un grande potere se la persona che la prova la ascolta seriamente ed è pronta ad accettarla, altrimenti sarà cambiato solo qualche colore nel  look senza aver fatto il passaggio che lo stato interno richiede, condannandosi, purtroppo, a dover gestire malesseri vari, frustrazioni e stati di tensioni che possono sfociare in sintomi spesso di natura psicosomatica. Quanta dietrologia per  qualche abito nuovo o una tinta all'ultima moda, eppure questo stesso elemento che ruota intorno al bisogno di cambiamento segna le vite di donne anche all'estero, al di fuori del nostro amato Mediterraneo, non si può trattare di coincidenza, è più probabile che sia un meccanismo grazie al quale il genere femminile ha raffinato la propria capacità d’esprimersi, secondo il luogo del mondo in cui nasce e si trova a vivere, può scaturire dalla scelta di una stoffa per parlare delle donne davanti ad una telecamera, o dal tipo di rossetto da tenere sempre in borsa, non cambia il senso e il bisogno relativo alla propria trasformazione. Questo fenomeno diventa molto evidente nel momento dell’adolescenza con il cambio repentino dei gusti, ma prosegue durante il corso della vita, segna passaggi di crescita importanti se sappiamo insegnare alle giovani donne ad ascoltare i propri movimenti interni senza angoscia o vergogna, indipendentemente che rispecchino le proprie aspettative, della famiglia o della società che le circonda.


Acqua cheta rompe i ponti - Dr Cipriani Luana -

Claude Monet"Le bassin aux nymphéas, harmonie rose". Parigi, Musée d’Orsa
Claude Monet"Le bassin aux nymphéas, harmonie rose". Parigi, Musée d’Orsa

Alcune espressioni proverbiali che ci hanno tramandato le precedenti generazioni, cioè proverbi ripetuti di continuo dalle varie zie o nonne quando eravamo molto piccoli, ci rimangono dentro più di altri e riemergono molti anni dopo, analizzare per quale motivo accade ciò non è l’argomento di questo specifico commento, ma sono abbastanza sicura che Dorian non mi farà mancare l’occasione!

Controllare il cellulare del proprio partner o potenziale partner, figlio/a adulto, migliore amico/a etc è un comportamento che sappiamo benissimo essere scorretto, perché stiamo agendo alle spalle del proprietario/a, che tra l’altro è una persona a cui siamo emotivamente molto legati, eppure, in quel momento, questo non ci sembra un aggravante, ma una buona giustificazione per non ascoltare il senso di colpa che ci aiuterebbe a desistere. Il controllo quando è totalmente spostato sull'altro ci dovrebbe avvisare che nel rapporto qualcosa non torna…cosa cerchiamo dentro l’apparecchio che non viene chiarito tra le persone…? Attraverso i social si possono tracciare piuttosto bene le azioni, i tempi, i luoghi delle persone prese di mira...persino il lessico ricorda che il soggetto, trasformatosi in oggetto delle indagini private, è diventato un bersaglio…come si arriva al bisogno di controllare l’altro, conosciuto o sconosciuto che sia? Ci si arriva seguendo vari percorsi di vita, ovviamente, ma tutti hanno in comune un certo stato interno poco chiaro, che non ha  parole per essere definito, ma è una miscellanea di sensazioni ed elementi non ben identificati che si avvicinano: alla gelosia, ma non proprio; alla frustrazione, ma non è detto; all'insicurezza, che in pochi si riconoscono; alla solitudine, ma “nooo siamo sempre connessi”; alla negazione, non può essere, “il controllo è per il bene dell’altro”; alla sfiducia, “dopo tutto quello che mi hanno fatto in passato gli altri, che sarà mai una sbirciatina”; alla vendetta, “dopo quello che ho subito, ora tocca agli altri”; alla paura, “ mi fido di te, ma non degli altri”…l’elenco potrebbe essere più lungo, ma penso di aver reso l’idea.

 Quando qualcosa ci tormenta silenziosamente da dentro, non è saggio evitare, mettendo in atto comportamenti che fungono da lenitivo, mascherando e nascondendo il problema prima di tutto a noi stessi e poi anche alle persone che amiamo o che potremmo amare. Quell'inquietudine strana e senza nome che cresce dentro senza clamore, non viene appagata mai da comportamenti rivolti all'esterno, ma può trovare una sua dimensione dentro di noi solo se la riconosciamo, cerchiamo di capire quali parole la descrivono, da dove proviene e perché arriva in una certa fase invece che prima o dopo. Porsi questi interrogativi richiede tempo, energie, sforzo fisico e mentale e trovare le risposte, anche solo parziali, può diventare doloroso o scomodo, ma è un male necessario. Nessuno può sopportare all'infinito il tormento senza nome, prima o dopo trova una strada sua, che si può rivelare ancora più straziante, nelle discussioni infinite o nella chiusura e nell'alienazione.

 L’acqua che non scorre scava dentro e prende forza dall'immobilità della stagnazione, il solo modo per non permettere che ciò accada è tirare fuori ciò che ci affligge senza cercare scorciatoie o giustificazioni, in modo che ciò che non ha nome lo trovi, restituendo un po' di pace al nostro cervello e più serenità ad un rapporto.


La mente lavora sempre… a volte bara! - Dr Cipriani Luana -

Il cervello è la sede biologica dei nostri pensieri, delle nostre mille azioni, volontarie e involontarie, dei ricordi, della memoria a breve termine… l’elenco è estremamente lungo, per sintetizzare possiamo dire che la nostra centralina ci tiene in vita sempre, giorno e notte e guai se non fosse così…perché verrebbero sospese tutte le nostre funzioni vitali! La centralina si modifica nel tempo, quando siamo piccoli è una spugna, in adolescenza ci fa uscire dagli schemi, in età adulta la usiamo senza più neanche rendercene conto. Eppure la mente lavora, lavora sempre, mentre sospiriamo per amore, mentre mangiamo, mentre dormiamo…e continuando a raccogliere input crea schemi di apprendimento, schemi emotivi, schemi relazionali e lavora lavora…senza stancarsi mai? Non è esatto, la mente si stanca, si ingolfa, può lasciare maggiore spazio all'impulsività quando non riusciamo a regolare qualcosa che ci tormenta. Quindi la nostra mente è causa del suo tormento? Può capitare che i pensieri non vengano gestiti e che quindi si creino dei rimuginii ricorrenti (il termine, in ambito psicologico, richiama metaforicamente l’attività degli erbivori poiché devono rimuginare continuamente il cibo). Se la mente produce gli schemi per tenerci in vita, come mai produce anche pensieri negativi e distruttivi? Ciò che pensiamo non deriva esclusivamente dal nostro cervello, ma viene rielaborato utilizzando gli insegnamenti familiari, le esperienze di vita, gli errori etc. La cultura di appartenenza media i nostri standard, gli stereotipi, che a volte si annidano inconsapevolmente, si possono persino confondere con gli obiettivi di vita. Ho conosciuto più di un paziente che aveva “scelto” uno specifico corso di studi e poi una determinata carriera, ma ad un certo punto, con il passare del tempo, si era accorto con stupore e disappunto delle famiglie, quella d’origine e quella propria, che aveva vissuto una vita che non gli apparteneva e cosa più destabilizzante di tutte, una vita in cui non si riconosceva affatto. La nostra centralina, tra le altre cose, è depositaria dell’identità, dei nostri gusti, dei nostri dolori e se non viene sinceramente ascoltata lancia periodicamente segnali incoerenti, disturbanti. Quando prendiamo delle decisioni nella vita, ci impegniamo facendo le valutazioni del caso oppure stiamo evitando qualche vocina che alberga dentro di noi a cui non riusciamo o non vogliamo prestare attenzione? Ascoltarsi profondamente, liberare la mente, sono gli antidoti ad una vita poco significativa, riempita a forza per mostrare all'esterno ciò di cui dovremmo godere internamente, se fosse vero e sentito ciò che appare agli altri.


Cultura e identità: come ci innamoriamo? - Dr Cipriani Luana -

Tratto da "Le mille e una notte" illustrazioni
Tratto da "Le mille e una notte" illustrazioni

Cosa c’è di più travolgente della passione amorosa? Su questa domanda probabilmente si riconciliano le divergenze tra le generazioni precedenti e quella attuale…l’amore ci smuove da dentro, arriviamo a dire addirittura che brucia…Romeo e Giulietta, Otello e Desdemona, Amleto e Ofelia…Shakespeare ha fatto la fortuna del teatro elisabettiano per secoli grazie alla potenza dei sentimenti. Ai nostri giorni non hanno fatto versare meno lacrime Jack e Rose in “Titanic”...amori grandissimi che portano la coppia a fare i conti con la perdita e indicibili sofferenze. Se pensiamo alle radici della nostra tradizione culturale potremmo dire del paganesimo greco e romano, semplificando un pochino, che è popolato di divinità annoiate che intrecciamo trame continuamente spinte da un inspiegabile desiderio da soddisfare e ovviamente, quale fra tutti i desideri possibili è quello che ricorre più di tutti? Il desiderio sessuale e la passione amorosa la fanno da padroni tra Dei, semidei, e esseri umani, che diventano le pedine di un gioco più grande di loro e a cui non è possibile sottrarsi. Elena non può impedire la guerra di Troia così come Penelope non può impedire al suo sposo di percorrere il Mediterraneo in lungo e largo per vent'anni e perdersi la crescita del loro unigenito Telemaco. Tutti schiavi senza speranza di questo sentimento che da secoli ci fa leggere, andare a teatro, al cinema, sognare, cantare e discutere perché alla fine più o meno consapevolmente tutti ad un certo punto della nostra vita abbiamo cercato la risposta alla fatidica domanda: che cos'è l’amore? E ancora di più: come posso essere certo/a di averlo trovato? Allora inizia la caccia ai segnali, battuta infida perché piena di trappole, in quanto ognuno di noi ha una sua storia personale, e quindi ciò che per qualcuno è un segnale insignificante per qualche altro non lo è o lo è in un modo diverso da quello che ci si aspetta. L’ansia da prestazione da primo appuntamento ha un successo che batte tutte le previsioni, perché per fare una buona prima impressione, siamo disposti a mascherarci dietro false identità che poi in un modo o nell'altro, nel tempo, ci tradiscono, trasformandosi in mille milioni di azioni, verbali e non, che provochiamo e a cui replichiamo in modo non sempre rispondente a come vorremmo. A leggere queste poche righe sembra che neppure “La cura” di Battiato può venire in nostro soccorso, eppure qualcosa si può fare, perché abbiamo sempre la possibilità di trovare un’idea, una risposta insolita, un comportamento diverso, se sentiamo che qualche cambiamento deve traghettarci verso una fase diversa.

Approfitto del calendario, poiché in questi primi giorni di Marzo ci sono diverse iniziative sparse per il paese, per prendere in prestito come soggetto su cui poter ragionare, l’ antica impresa della bella e astuta Shahrazad, l’unica principessa di tutto l’impero persiano che riuscì a salvarsi la vita e quella di molte altre donne, raccontando al sultano le sue storie. Il sultano, ferito dal tradimento di una delle sue mogli, aveva stabilito che tutte le notti avrebbe avuto una sposa diversa e alla quale avrebbe tolto la vita. Cosa avevano di così speciale i racconti di Shahrazad? Ella usava le storie come mezzo per rimandare ogni notte l’inevitabile, non rivelando mai il finale, e così ogni notte l’impavida principessa ammaliava con le sue parole il sultano, che finì per innamorarsene, abbandonando il femminicidio, diremmo oggi. Le parole possono cambiare le idee che produce la mente, possono persuadere, possono sedurre anche ferire certo. A mio pare il messaggio più bello de “Le mille e una notte” che ha resistito al tempo è quello che l’essere umano possiede, attraverso la comunicazione, il potere di accordare i dissapori, trovare nuove soluzioni, raggiungere nuovi traguardi, che non contemplano obbligatoriamente la violenza, il ferimento o la morte. Non importa che il problema sia di coppia, di lavoro, con il vicino, con l’amico del cuore, sforzarsi di comunicare apertamente andando incontro all'altro è il modo che consente a tutti noi di esprimerci, di arricchire noi stessi, di sorprenderci e perché no, di innamorarci quando meno ce lo aspettiamo!


Regole e Insegnamenti - Dr Cipriani Luana -

Uno dei mantra che vado ripetendo da diversi anni, chi mi conosce lo sa a memoria, è quello che recita “il mestiere dei genitori è il più difficile del mondo e non viene nemmeno retribuito!” …un po' a voler sottolineare le tante difficoltà e soprattutto il fatto che gli eventuali errori il più delle volte ricadono sui figli e tutto ciò, alla fine dei conti, non ha prezzo! Il prezzo più importante è in termini umani: “sarò un bravo genitore?”, “sarò capace di educare mio figlio?”, “come si insegnano le regole senza cadere in drammi familiari? …questi sono solo alcuni esempi che appartengono al mondo di dubbi e perplessità su cui dovrebbero ragionare le figure genitoriali. Essere genitori è meraviglioso e la parte complessa risiede proprio nel verbo “essere”, quindi, cercare di impersonare un ruolo utilizzando le nostre specifiche caratteristiche in modo tale che possa essere credibile agli occhi dei nostri bambini, che ci osservano e ci ascoltano anche quando pensiamo che non lo stiano facendo. Molto spesso viene la tentazione di tirare fuori i metodi che sono stati usati per noi, o peggio, cerchiamo di “copiare” da qualcuno che stimiamo per varie ragioni, di solito queste scorciatoie falliscono miseramente perché il modello genitoriale passato appunto è passato e copiare qualcun altro per qualcosa che dobbiamo produrre noi in genere ottiene lo stesso risultato che si otteneva a scuola quando si copiava un compito in classe: non si  riusciva a mascherare la scarsa preparazione perché veniva a galla prima o dopo. I bambini riconoscono le mistificazioni, non sono in grado di esprimersi compiutamente, ma riconoscono l’imbroglio se non subito dopo.. e più in là si va più le bugie scavano sentieri carsici nella comunicazione familiare che poi è complicato gestire. Premesso ciò come insegnare le regole di base ai pargoli? Innanzitutto si stabiliscono poche regole con pochi segnali da dover sempre rispettare, l’esempio classico è far comprendere ad un bambino che la strada va attraversata sulle strisce pedonali accanto ad un adulto. Questa regola dovrebbe essere pronunciata dalla figura genitoriale con convinzione e assertività nel momento in cui serve e mentre il bambino ci guarda...non in modo distratto, oppure mentre noi stessi attraversiamo dove non ci sono le strisce pedonali! Essere genitore implica in modo significativo comportarsi rispettando le regole che si intendono insegnare e va fatto con semplicità, con modalità strategiche e rispetto per la mente di un cucciolo d’uomo che non apprende da lunghi discorsi anche se contengono le motivazioni più nobili! Ricapitoliamo: per insegnare nel modo più naturale possibile le regole ai nostri figli quando sono molto piccoli ci vogliono attenzione, pazienza e coerenza. Questi tre elementi ancora non garantiscono un risultato immediato, ma il percorso di vita lo sappiamo tutti non è uno sprint, ma piuttosto una lunga maratona!


Pensando a……: “ Commiato” - Dr Cipriani Luana -

La comunicazione del lutto in età evolutiva

Parlare della morte è sempre difficile, lo diventa di più quando la comunicazione è rivolta ai bambini o agli adolescenti.Quando comunichiamo qualcosa di doloroso, stressante, penoso, generalmente il nostro atteggiamento verso l’altro “parla da solo prima delle parole”.

Le espressioni del viso, il tono della voce e più in generale il linguaggio del corpo sono molto significativi per chi è ancora in crescita poiché sta assimilando un gran numero di informazioni per imparare a vivere. Quale comportamento è meglio tenere? È preferibile tacere o mentire? Eventualmente cosa dire? Meglio lasciarsi andare o comunicare le brutte notizie con educato contegno? Sono solo alcune delle molte domande a cui ci espone una situazione come questa e come sempre accade per le situazioni complicate non esiste una risposta univoca e definitiva, ma più che altro qualche accorgimento da tenere a mente “ per non fare tutto peggio” come mi sono sentita rispondere da diversi adolescenti che ho ancora tutti davanti agli occhi quando ci penso…

Essere onesti con i nostri pargoli ci riesce difficile perché a volte non abbiamo chiaro noi adulti come elaborare la perdita di una persona cara…così si tende inevitabilmente a ripetere vecchi schemi…magari appresi in famiglia...o modificati faticosamente lungo il cammino della vita perché certi vissuti hanno lasciato segni indelebili…ferite che opprimono invece di liberare. Non sono da trascurare le aspettative sociali, che in ognuna delle nostre teste assumono importanza diversa anche variando secondo le caratteristiche di personalità, che a volte ci fanno scegliere cosa enfatizzare o cosa è presumibilmente meglio trascurare secondo giudizi o pre-giudizi da cui ci lasciamo influenzare.

La morte fa il suo lavoro, ovvero, ci ricorda che nonostante le nostre paure superate, i nostri sforzi per rimanere in salute, i molti progressi della medicina, siamo esistenze mortali. I cuccioli d’uomo non hanno familiarità con la morte perché sono volti alla crescita e quindi la propensione di tutto il loro essere è in avanti verso il futuro, sono i care givers che devono traghettare certe informazioni accogliendo e rispettando le richieste che si presentano di volta in volta senza fare finta che l’evento doloroso non esiste…perché esiste e se lo si nega si crea un grosso controsenso nel vissuto sia del bambino che dell’adolescente, che molto spesso viene compensato con “ strani comportamenti” che possono trasformarsi in varie sintomatologie.

Gli adolescenti se vengono coinvolti e non travolti dalla sofferenza possono imparare a crescere attraverso l’esperienza della perdita. I care givers hanno un compito molto importante nel testimoniare tramite l’esempio che il dolore esiste e non è imbattibile, ci si lavora con sforzo e rispetto anche per la persona che dobbiamo lasciar andare.

Forse non è tanto importante trovare il discorso perfetto quanto ricercare “la giusta distanza emotiva” per poter entrare in comunicazione con l’età evolutiva.