Disturbo da stress acuto: come si manifesta negli adulti.

- Dr Cipriani Luana -

Ci sono alcuni accadimenti che possono creare stress acuto, cioè tutta una serie di reazioni “strane” e inusuali per la persona a ridosso di alcune situazioni ad altissimo potenziale traumatico: morte di una persona cara, violenza sessuale, rapimento, tortura, esposizione continuativa ad elementi di tipo traumatico come accade per esempio alle forze dell’ordine, al personale di primo soccorso, etc.

Queste situazioni possono rimanere impresse sotto forma di ricordi spiacevoli che involontariamente si ripresentano nella mente della persona traumatizzata e possono trasformarsi in sogni spiacevoli collegati all'evento disturbando il sonno.

La persona può vivere reazioni dissociative come una sorta di flashback nella testa che gli fa provare le emozioni negative collegate al trauma, persino può far agire la persona come se il trauma fosse reale, distogliendola dalla realtà effettiva per un certo tempo, tanto più è intensa e prolungata la rievocazione tanto più il soggetto rimane immerso nella realtà che si trova nel film che sta producendo la sua testa.

Può accadere che la persona percepisca il tempo come se fosse rallentato, può sentirsi confuso, può vedere se stesso al di fuori del proprio corpo.

L’immagazzinamento in memoria dell’evento traumatico non funziona come un ricordo normale, viene ricordato qualche aspetto, addirittura si potrebbero offuscare o rimuovere gli aspetti importanti. La mancanza del ricordo per intero può provocare rabbia, tristezza, senso di impotenza etc. Diventa difficile addormentarsi la notte o concentrarsi sul lavoro mantenendo le abitudini precedenti al trauma.

Tutto ciò causa profonda sofferenza psicologica e cambiamenti fisiologici all'interno dell’organismo della persona che risponde con alterazioni corporee ad elementi esterni che possono richiamate il trauma. Si possono presentare sfoghi cutanei mai avuti prima, mal di testa, nervosismo, tachicardia, sbalzi pressori, momenti di perdita della stabilità, vertigini, dolori articolari, mal di schiena, bruciori legati a gastriti improvvise etc.

Si fatica a controllare l’alimentazione (fame nervosa oppure digiuno nervoso), i fumatori aumentano il numero di sigarette fumate, qualcuno può cercare di controllare tutte queste sensazioni spiacevoli con l’alcool o la cannabis.

La sofferenza psicologica diventa così devastante che priva il soggetto delle emozioni positive per esempio provare amore o gioia, soddisfazione per qualcosa etc. e questo si ripercuote sul lavoro, sulla famiglia, sulle relazioni amicali.

Possono presentarsi esplosioni di rabbia, malumore espressi verbalmente e/o fisicamente, si sviluppa un senso di allerta esagerato rispetto alla quotidianità, l’ansia sembra non voler mai calare e la concentrazione può vacillare.

La persona si impegna molto nel cercare di evitare in ogni modo di pensare al trauma o a qualche dettaglio traumatico, ma senza riuscirci affatto e tale profonda frustrazione non viene bilanciata in alcun modo.

Mentre il soggetto perde il controllo della sua vita peggiorano le relazioni con le persone che lo circondano perché il malessere non risparmia la famiglia, il lavoro, le amicizie.

 

Bibliografia:

 

 

DSM - 5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 2014, Raffaello Cortina Editore


La sindrome da bourn out: ricerca e sviluppo

- Dr. Cipriani Luana -

Il termine burn out si traduce in italiano con: “scoppiato”, “bruciato”, “esaurito” ed è stato introdotto nel 1975 da Herbert Freudenberger, psicologo statunitense. Qualche anno più tardi Christina Maslach ha definito il burnout una sindrome di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale”, ed in collaborazione con Susan Jackson hanno realizzato nel 1981 uno specifico strumento psicodiagnostico standardizzato, il Maslach Burnout Inventory, un questionario di 22 domande, per stabilire se nell'individuo sono attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burn out.

Con esaurimento emotivo si intende la mancanza dell’energia necessaria per affrontare la realtà quotidiana e la prevalenza di sentimenti di apatia e distacco emotivo nei confronti del lavoro. La persona si sente svuotata, sfinita, le sue risorse emozionali sono “esaurite”.

Con il termine depersonalizzazione ci si riferisce ad un atteggiamento caratterizzato da distacco e ostilità che coinvolgono la relazione professionale d’aiuto, vissuta con fastidio, freddezza e cinismo. Il soggetto tenta di sottrarsi al coinvolgimento, limitando la quantità e la qualità dei propri interventi professionali al punto da rispondere evasivamente alle richieste di aiuto e sottovalutare o negare i problemi del paziente.

La ridotta realizzazione personale fa riferimento ad un sentimento di “fallimento professionale” per la percezione della propria inadeguatezza al lavoro a cui si aggiunge la consapevolezza del disinteresse e dell’intolleranza verso la sofferenza degli altri. In conseguenza di tutto ciò possono svilupparsi sentimenti di colpa per le modalità relazionali impersonali e disumanizzate che hanno sostituito l’efficacia e la competenza nel rapportarsi con altri esseri umani sofferenti.

All’interno di questa cornice psicologica e relazionale possono comparire sintomi fisici sotto forma di vaghi malesseri, astenia, cefalea, disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), stati di dolore non ben definiti, problematiche gastro intestinali.

Fin qui si può considerare la sindrome da bourn out come l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni di aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il lavoro li porta ad assumere.

Dal 2000 i successivi studi di Maslach e Michael Leiter hanno ulteriormente perfezionato le componenti del bourn out dimostrando che tale sindrome non è esclusiva delle professioni di aiuto, ma si può presentare anche in altre tipologie di lavoro. Le componenti che ne sono scaturite sono: il deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro e delle emozioni originariamente associate al lavoro, la difficoltà di adattamento tra la persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste che l’ambito lavorativo produce in modo continuativo e pressante.

 

 

Riferimenti bibliografici

Michael P. Leiter e Christina Maslach, Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro, Erickson, 2000.

Linkografia

 

http://www.jpsychopathol.it/article/il-burnout-e-lemozione-rabbia/


Il Bossing e le ripercussioni

sulla salute - Dr. Cipriani Luana -

Per capire a fondo la portata del mobbing è utile fare qualche precisazione per focalizzare il fenomeno in modo appropriato.

Il mobbing messo in atto dal diretto superiore o dai vertici dell’azienda viene definito bossing. Viene posta in essere un’apposita strategia per allontanare deliberatamente un certo dipendente dal proprio posto di lavoro.

Fa parte di questa tattica, l’estromettere poco per volta il lavoratore da ogni possibilità d’avanzamento e di crescita nel lavoro.

In questo caso, la vittima potrà anche rimanere in servizio fino alla fine del suo contratto lavorativo, poiché, l’obiettivo fondamentale di chi compie bossing, consiste nell'aver reso il dipendente impotente, in modo tale che altri, ma non lui, possano andare avanti.

Quando il fenomeno assume una portata più ampia entra all'interno delle grandi Imprese, delle Industrie, nelle Aziende e nei grandi Enti.

Si tratta, dunque, di luoghi di lavoro, dove per il fatto stesso che vi sono numerosi dipendenti con gradi e posizioni diverse, esistono condizioni di instabilità.

Tale instabilità è generata dalla necessità di continui cambiamenti, che possono portare ad una riduzione e/o ad una riqualificazione del personale, inoltre può capitare che vari dirigenti in posizione intermedia devono avanzare di grado.

In questo caso, la strategia di estromissione è intenzionale, siamo cioè alla presenza di un tipo di mobbing voluto e pilotato, messo in atto per allontanare definitivamente dal mondo del lavoro dipendenti considerati non più utili.

In genere, si tratta di dipendenti che lavorano in reparti da chiudere, di soggetti da riqualificare e ritenuti costosi per la nuova organizzazione, o ancora, può trattarsi di lavoratori indesiderati, semplicemente perché, nella strategia prefissata, sono altri che devono fare carriera.

In Italia, il legame tra individuo e famiglia è molto forte; la famiglia partecipa attivamente alla definizione sociale e personale dei suoi membri, si interessa del loro lavoro, della loro vita privata, della loro realizzazione e dei loro problemi.

La famiglia assorbirà tutta questa negatività, cercando di dispensare al suo componente in crisi aiuto, protezione, comprensione, rifugio. La crisi porterà necessariamente ad uno squilibrio dei rapporti, ma la famiglia ha molte più risorse e capacità di ripresa di un singolo, e riuscirà a tamponare la falla.

Il mobbing è un lento stillicidio di persecuzioni, attacchi e umiliazioni che perdura inesorabilmente nel tempo, e proprio nella lunga durata ha la sua forza devastante. La vittima soffre e trasmette la propria sofferenza al coniuge, ai figli, ai genitori per molto tempo, il più delle volte per anni. Il logorio attacca la famiglia, che resisterà, ma quando le risorse saranno esaurite, entrerà anch'essa in crisi. Nel tempo il mobbizzato si ritroverà sempre bersagliato sul posto di lavoro e per di più privato a poco a poco della comprensione della famiglia. Il mobbing a cui è sottoposto raddoppia: non è solo presente in ufficio, ma continua, con altre modalità, anche dopo, a casa o nell'ambiente sociale, risultando estenuante.

Per la vittima il mobbing significa:

       problemi di salute legati allo stress ed alla somatizzazione: palpitazioni, tremori, difficoltà respiratorie, problemi di espressione, gastriti e disturbi digestivi, difficoltà visive, capogiri, svenimenti

       il sonno: incubi, insonnia, risvegli precoci.

       disturbi alle funzioni intellettuali: difficoltà di memoria e di concentrazione.

 danni finanziari importanti: costose visite mediche specialistiche, la scomparsa della regolare entrata mensile dello stipendio nei casi in cui il mobbing sfocia nella perdita del posto di lavoro.

 danni di tipo sociale: il crollo della sua immagine sociale e la perdita di colleghi, di collaboratori o di amici che non sopportano più il suo umore depressivo o del partner che se ne va convinto che sia “un fallito”.

 

Riferimenti bibliografici

Aiello A, Deitinger P, Nardella C; (2012); Il modello "Valutazione dei Rischi Psicosociali" (VARP). Metodologia e strumenti per una gestione sostenibile nelle micro e grandi aziende: dallo stress lavoro-correlato al mobbing; Franco Angeli.

 

Avallone F., Paplomatas A.; (2005); Salute organizzativa; Raffaello Cortina Editore.

 

 

Treccani vocabolario online: http://www.treccani.it/


Mobbing e violenze psicologiche: breve analisi degli elementi di base. - Dr. Cipriani Luana -

Il termine mobbing deriva dal verbo inglese “to mob” che tradotto significa assalire, molestare ed è stato utilizzato per la prima volta da Konrad Lorenz, zoologo ed etologo, premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1973. Lorenz studiò a fondo il comportamento animale e notò come un gruppo di potenziali prede, nello specifico uccelli passeriformi, tutte insieme, mettevano in atto comportamenti aggressivi contro il predatore, per esempio un falco, allo scopo di scoraggiare il suo attacco. Attualmente il termine viene utilizzato per intendere una forma di molestia psicologica esercitata su un lavoratore/lavoratrice, impedendogli di lavorare e sottoponendolo/a ad un trattamento insostenibile nello svolgimento delle mansioni lavorative.

Il mobbing può essere diretto e indiretto, si parla di mobbing diretto, quando le azioni vessatorie sono indirizzate specificatamente verso la vittima, è indiretto, quando il comportamento persecutorio è rivolto, non direttamente alla vittima, ma alla sua famiglia o agli amici.

Il mobber è colui o colei che agisce attraverso gesti e comportamenti che a volte è difficile dimostrare senza apparire “paranoici”, “esagerati”, “fuori di testa”.

Azioni di questo tipo, sono per esempio, quelle finalizzate all'isolamento progressivo della vittima e quindi alla sua esclusione dal gruppo dei colleghi, al fine di farla sentire sola e indifesa, in un ambiente a lei completamente ostile.

I comportamenti vessatori verso la vittima possono diventare anche più evidenti e carichi di una maggiore intensità e violenza: aggressioni verbali o fisiche, urla, riferimenti alla sfera privata o sessuale, alle idee religiose o politiche.

Il mobbing è di tipo orizzontale quando le azioni vessatorie sono compiute da colleghi di pari grado rispetto alla vittima, per impedirle gli avanzamenti di carriera.

Il mobbing è di tipo verticale se è perpetrato da colleghi di grado superiore rispetto alla vittima.

Esistono casi in cui esso è attuato da colleghi di grado inferiore, i sottoposti, che compiono mobbing per mantenere i piccoli privilegi di cui godono, ma soprattutto perché temono la rivalsa del capo-mobber e attuano nei riguardi della vittima trappole di vario genere, diventando mobber a loro volta (co-mobber o side mobber).

Una caratteristica tipica del mobbing verticale è la sua efficacia e fatto devastante per chi subisce, il suo passare inosservato. Ciò avviene, perché il capo, grazie al potere derivatogli dalla sua posizione, può mascherare le persecuzioni psicologiche dietro l’aspetto di misure disciplinari necessarie.

Il mobbing trasversale è una forma un po’ più complessa di vessazione psicologica, perché riguarda anche persone che si trovano al di fuori dell’ambito lavorativo.

Il mobber, nell'intento di creare “terra bruciata” intorno alla sua vittima, crea alleanze anche in ambienti esterni all'ufficio, dove il mobbizzato potrebbe cercare appoggio o farsi apprezzare.

Il dipendente, dunque, sarà circondato dall'indifferenza, e si accorgerà che nessuno gli rivolge neanche più il saluto.

Il mobbing relazionale merita una menzione specifica poiché mina e distrugge i rapporti interpersonali. Esso può essere di due diversi tipi: cognitivo o emozionale.

Nel mobbing relazionale di tipo cognitivo, i comportamenti persecutori riguardano le strategie di potere. Si assiste, così, alla creazione di situazioni atte a provocare invidie e gelosie, con lo scopo preciso di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, per poi poterne squalificare alcuni e destabilizzarne altri. Si tratta di una procedura abbastanza complessa, che evita la comunicazione diretta, utilizza la menzogna, si architettano inganni in modo tale che la vittima, qualsiasi cosa faccia, sbagli comunque.

Nel mobbing relazionale di tipo emozionale, le azioni di prevaricazione sono collegate agli aspetti della personalità della vittima. Esso è provocato da sentimenti quali l’invidia, la gelosia, la rivalsa, il timore di essere superato dal dipendente, o ancora da differenze di genere, di cultura o di classe. Lo scopo preciso del mobber, è, in questo caso, quello di rendere la sua vittima inaffidabile, al fine di estromettere la persona dal processo lavorativo e bloccargli la carriera.

In ognuno di questi casi la portata della sofferenza psicologica è devastante e si riflette in modo gravoso sulla vita della vittima creando problemi a vari livelli sia fisici che mentali. E’ raccomandabile in questi casi farsi seguire da personale specializzato per allentare nel brevissimo termine le tensioni e poter cominciare in una fase successiva, con minor pressione, un percorso di “rinascita “ vera e propria.

 

Riferimenti bibliografici

 

Aiello A, Deitinger P, Nardella C; (2012); Il modello "Valutazione dei Rischi Psicosociali" (VARP). Metodologia e strumenti per una gestione sostenibile nelle micro e grandi aziende: dallo stress lavoro-correlato al mobbing; Franco Angeli.

 

Treccani vocabolario online: http://www.treccani.it/

 

 

 


Lo stress in ambiente lavorativo. -  Dr. Cipriani Luana -

Il bisogno dell'uomo non è quello di liberarsi della tensione ad ogni costo, ma piuttosto quello di sentirsi chiamato a compiere qualche cosa

Questa citazione ricorreva di frequente nelle lezioni viennesi del Prof. Victor Emil Frankl, medico e psichiatra, che già negli anni Trenta, cercava di insegnare alle giovani generazioni come affrontare i disagi, in un contesto dove, il suicidio, era diventato una triste e incontrovertibile realtà. 

Il senso del messaggio è che lo stress, in larga parte, ci accompagna tutta la vita e diventa importante sapere quando, invece, non ci sostiene, ma ci danneggia.

Storicamente il termine stress proviene dall'ingegneria e sta ad indicare gli effetti subiti dai materiali metallurgici sottoposti a forte pressione. Metaforicamente le persone sono sottoposte ad un continuo scambio di interazione tra l’ambiente e gli individui che vi lavorano, quindi, gli elementi da considerare sono: il processo che produce stress, le situazioni che accadono durante il processo, le risposte fisiologiche e comportamentali delle persone coinvolte nel processo.

 

Come fanno le persone a difendersi da una forte pressione?

Gli esseri umani sono mammiferi intelligenti, quindi, possono attuare una serie di comportamenti verbali e non verbali per adattarsi alle situazioni.

 

La persona sente di avere le risorse personali per rispondere alle richieste lavorative e relazionali?

Le ricerche scientifiche hanno individuato alcuni elementi ricorrenti, che più di altri, generano stress lavorativo difficile da gestire durante e dopo l’attività lavorativa: 

  1. La precarietà del lavoro
  2. L’ ambiguità dei ruoli in ambiente lavorativo
  3. L’aumento del carico di lavoro e/o del ritmo di lavoro
  4. Elevate pressioni emotive esercitate sui lavoratori
  5. La violenza e le molestie di natura psicologica
  6. Lo scarso equilibrio tra lavoro e vita privata
  7. Lo stile di leadership sul posto di lavoro

Quando gli individui percepiscono uno sbilanciamento tra le richieste lavorative e le risorse a loro disposizione per far fronte a queste richieste, lo stress prolungato nel tempo diventa un rischio per la sicurezza e la salute sul posto di lavoro.

Lo stress, quindi, può minare la salute fisica e mentale delle persone, di seguito sono riportati alcuni esempi divisi in 4 gruppi tratti da recenti studi:

 

A. Reazioni fisiologiche:

  • problemi alla schiena
  • indebolimento del sistema immunitario
  • ulcere peptiche
  • disturbi cardiaci
  • Ipertensione

B. Reazioni comportamentali:

  • abuso di sostanze (farmaci, alcool, nicotina, droghe, etc.)
  • comportamento distruttivo

 C. Reazioni cognitive:

  • difficoltà di concentrazione
  • perdita della memoria
  • scarsa propensione all'apprendimento di cose nuove
  • ridotta capacità decisionale

 D. Reazioni Emotive:      

  • irritabilità
  • ansia
  • disturbi del sonno
  • depressione
  • ipocondria
  • alienazione
  • cambi di umore
  • problemi relazionali in famiglia

Quando la salute delle persone viene meno anche le aziende sul lungo periodo ne risentono. È possibile rilevare i sintomi aziendali dello stress: 

  • Assenteismo
  • Frequente avvicendamento del personale
  • Problemi disciplinari e/o violazioni di vario tipo
  • Riduzione della produttività
  • Errori e/o infortuni
  • Aumento dei costi d’indennizzo e/o delle spese mediche

Tutto ciò si può prevenire facendo accurati e attenti controlli e quando si presentano le prime avvisaglie, è fondamentale rivolgersi alle figure professionali qualificate per chiedere l’aiuto necessario e risolvere i problemi quando ancora sono di lieve entità.

 

Riferimenti bibliografici

Aiello A, Deitinger P, Nardella C; (2012); Il modello "Valutazione dei Rischi Psicosociali" (VARP). Metodologia e strumenti per una gestione sostenibile nelle micro e grandi aziende: dallo stress lavoro-correlato al mobbing; Franco Angeli.

 

Avallone F., Paplomatas A.; (2005); Salute organizzativa; Raffaello Cortina Editore.

 

Massera S.; (2012); La redazione del documento di valutazione dei rischi; EPC Editore.